giovedì 26 novembre 2009

Bambini rom Una riflessione sugli immigrati.



Fonte:
http://www.agoravox.it/tribuna-libera/article/i-bambini-rom-11039

In questi ultimi tempi si sente tanto parlare dell’immigrazione in Italia e delle sue conseguenze. Non c’è giorno in cui non si parli di aggressioni, furti e violenze da parte di extracomunitari, regolari o clandestini che siano.

Si punta sempre, a torto o a ragione, il dito accusatore su questa gente, che si aggira per le vie delle nostre città, turbando la tranquillità ed il quieto vivere delle nostre famiglie. I cittadini, anche quelli ben disposti all’accoglienza, cominciano a nutrire forti dubbi sulla cosiddetta "integrazione", e hanno paura, si barricano nelle case, evitando di uscire la notte per non fare brutti incontri.

Mai come in questo periodo si è tanto parlato di violenza sulle donne da parte di extracomunitari, di sfruttamento della prostituzione minorile e di spaccio di droga ad opera di bande straniere malavitose.

Gli immigrati in Italia hanno raggiunto, in pochi anni, il 7% della popolazione, e di questo passo, in mancanza di adeguata regolamentazione, si raggiungeranno presto percentuali significative e preoccupanti. E in molti italiani, pur consapevoli che esistono, fra gli altri, extracomunitari onesti e lavoratori, si è insinuato il germe della rabbia, che finisce sempre per alimentare comportamenti di intolleranza, se non di vero e proprio razzismo. Ne fanno le spese soprattutto gli albanesi e i rumeni.

Eppure, se si riflettesse serenamente e senza pregiudizi, basterebbe conoscere o anche osservare con attenzione una qualunque famiglia di immigrati, con i loro bambini dallo sguardo pulito e innocente, per provare uno strano senso di smarrimento, di profonda comprensione e solidarietà. E anche di colpa.

L’altro giorno, il "Corriere della Sera" ha riportato la lettera di un lettore di Milano che, per circa un anno, ha avuto insediato nel suo quartiere un campo di rom rumeni, sgomberato nei giorni scorsi in seguito alle pressanti ed aspre proteste dei residenti.

"Da residente della zona", scrive il lettore del Corriere, "dovrei essere contento perché non ci saranno più queste persone, trasandate e senza lavoro, che fanno paura quando si incontrano la sera nei viali, e che vivono di elemosina e di espedienti. In realtà, invece, sono triste. Nei giorni scorsi ho visto dei genitori rom portare i figli nel parco sotto casa mia, staccare uno dei tubi per l’irrigazione del prato e lavare i bambini così, all’aperto, davanti agli occhi di tutti. Sul momento son stato preso da un impeto di rabbia e avrei voluto allontanarli, indignato. Poi ho pensato ad un padre che, per lavare i propri figli, è costretto ad umiliarsi in questo modo perché nel campo dove vive non c’è acqua e non ha altri mezzi per cercare una sistemazione migliore. E mi sono fermato".

La lettera prosegue: "Il giorno dello sgombero ho visto i bambini rom piangere perché non andranno più a scuola, non vedranno più i compagni e le maestre. Quando sono arrivati, lo scorso anno, questi bimbi non conoscevano una parola di italiano. Li vedevo arrivare nella scuola elementare di mia figlia ed erano spaventati, con lo sguardo preoccupato, e non volevano separarsi dai genitori. Anche i genitori erano timidi e si tenevano in disparte quasi come se si vergognassero di avvicinarsi ai residenti. Dopo qualche mese erano cambiati, sia i grandi che i piccoli. I bambini rom erano felici e giocavano con gli altri bambini. Accompagnando mia figlia a scuola, la vedevo correre incontro alla sua nuova amichetta che viveva in una casa con le ruote. Le vedevo abbracciarsi strette, prendersi per mano e raccontarsi le avventure del giorno prima. Anche i genitori rom sorridevano, ma sempre con una vena di malinconia".

Infine, il lettore si domanda: "Che sarà ora di queste famiglie? Dove andranno questi bambini? Che cosa si può fare per loro?". Tutti interrogativi destinati a rimanere senza risposta, non solo per i bambini rom, ma anche per tutti i bambini che per fame o per sventura sono costretti ad insediarsi, con i genitori, in Paesi stranieri e ne vengono, senza colpe, continuamente cacciati.

Questa lettera è comunque un messaggio semplice e sincero che apre alla speranza, specialmente in questi tempi di grande confusione sul grave problema dell’immigrazione. E non solo per coloro che vengono tacciati di superficialità o di buonismo.

"Dovrei essere contento", conclude il lettore, "perché il mio quartiere è tornato alla normalità. Invece mi viene da piangere".

Viene in mente, per antitesi, un libro che circola in Italia, intitolato "Tornerò a Casablanca", che narra le vicende di un emigrante che sogna di tornare al suo Paese col suo bambino perché convinto che non vi sia futuro per lui, lontano dalla sua gente.