da Il Fatto Quotidiano n°21 del 17 ottobre 2009
di Massimo Fini
In un circostanziato articolo il Times accusa i militari italiani di stanza a Surobi fino a luglio 2008 di aver pagato tangenti ai Talebani per non essere attaccati. Il ministro La Russa ha smentito sdegnosamente e querelato il Times. Ma ha aggiunto prudentemente: “Nell'estate 2008 ero ministro da poco”. Infatti c'è poco da smentire. Non è la prima volta che gli italiani si comportano così. In Libano, nel 1982, il generale Angioni si mise d'accordo con quelli che avrebbe dovuto combattere. In Iraq, dopo Nassirya, ci siamo accordati con Moqtada al Sadr e non abbiamo più avuto problemi. In Afghanistan la novità è la tangente pagata direttamente al nemico. Un accordo c'era anche a Herat. Saltò quando, il 3 maggio 2009, un convoglio di militari italiani, con i nervi a fior di pelle, sparò a una Toyota che procedeva in senso inverso, regolarmente sulla propria corsia, uccise, decapitandola, una bambina di 12 anni e ferì tre suoi congiunti. Era una famigliola che andava a un matrimonio. Da allora gli attacchi agli italiani cessarono di essere “dimostrativi” (tanto per non insospettire troppo gli americani) e, dopo il ferimento di tre paracadutisti, a settembre ci fu l'agguato mortale a Kabul. Noi siamo alleati fedeli (come i cani) ma sleali. Gli inglesi che sono quasi gli unici a combattere sul serio, e che hanno perso solo nei mesi estivi quasi 40 uomini, si sono stufati e hanno fatto filtrare le notizie al Times.
Peraltro non sono solo gli italiani a fare i felloni. Scriveva il 19/9 l'inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi: “Milioni arrivano ai talebani dalle tangenti versate dai contingenti occidentali in cambio di protezione”. E altri da tangenti pagate agli insorti perché permettano il passaggio dei rifornimenti dal Pakistan. Ce n’è quanto basta per farsi un'idea di chi controlla realmente il territorio in quel Paese. Come se ne esce? Parole di saggezza sono venute dal vicepresidente Usa Joe Biden che ha capito una cosa: i Talebani non hanno niente a che vedere col terrorismo internazionale, gli interessa solo il loro Paese e non costituiscono un pericolo per l'Occidente. Ha detto Biden: “I talebani sono un gruppo indigeno, ben radicato fra la popolazione, che aspira a conquistare pezzi di territorio ed eventualmente a governare il Paese ma non ambisce ad attaccare gli Stati Uniti”. E ha fatto anche capire che sarebbe possibile un accordo col Mullah Omar, disponibile a liberarsi del centinaio di quaedisti che oggi sono in Afghanistan, memore di quanto gli costò, nel 2001, la presenza di Bin Laden. Omar non è né un terrorista, né un criminale, né un pazzo, è un uomo pragmatico che firmerebbe all'istante un accordo di questo tipo: fuori gli stranieri, in cambio solide garanzie che a nessun terrorista internazionale sia permesso di circolare liberamente in Afghanistan. Nel 2000 bloccò la coltivazione del papavero, è sicuramente in grado di cacciare a pedate quattro quaedisti strapenati.
di Massimo Fini
In un circostanziato articolo il Times accusa i militari italiani di stanza a Surobi fino a luglio 2008 di aver pagato tangenti ai Talebani per non essere attaccati. Il ministro La Russa ha smentito sdegnosamente e querelato il Times. Ma ha aggiunto prudentemente: “Nell'estate 2008 ero ministro da poco”. Infatti c'è poco da smentire. Non è la prima volta che gli italiani si comportano così. In Libano, nel 1982, il generale Angioni si mise d'accordo con quelli che avrebbe dovuto combattere. In Iraq, dopo Nassirya, ci siamo accordati con Moqtada al Sadr e non abbiamo più avuto problemi. In Afghanistan la novità è la tangente pagata direttamente al nemico. Un accordo c'era anche a Herat. Saltò quando, il 3 maggio 2009, un convoglio di militari italiani, con i nervi a fior di pelle, sparò a una Toyota che procedeva in senso inverso, regolarmente sulla propria corsia, uccise, decapitandola, una bambina di 12 anni e ferì tre suoi congiunti. Era una famigliola che andava a un matrimonio. Da allora gli attacchi agli italiani cessarono di essere “dimostrativi” (tanto per non insospettire troppo gli americani) e, dopo il ferimento di tre paracadutisti, a settembre ci fu l'agguato mortale a Kabul. Noi siamo alleati fedeli (come i cani) ma sleali. Gli inglesi che sono quasi gli unici a combattere sul serio, e che hanno perso solo nei mesi estivi quasi 40 uomini, si sono stufati e hanno fatto filtrare le notizie al Times.
Peraltro non sono solo gli italiani a fare i felloni. Scriveva il 19/9 l'inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi: “Milioni arrivano ai talebani dalle tangenti versate dai contingenti occidentali in cambio di protezione”. E altri da tangenti pagate agli insorti perché permettano il passaggio dei rifornimenti dal Pakistan. Ce n’è quanto basta per farsi un'idea di chi controlla realmente il territorio in quel Paese. Come se ne esce? Parole di saggezza sono venute dal vicepresidente Usa Joe Biden che ha capito una cosa: i Talebani non hanno niente a che vedere col terrorismo internazionale, gli interessa solo il loro Paese e non costituiscono un pericolo per l'Occidente. Ha detto Biden: “I talebani sono un gruppo indigeno, ben radicato fra la popolazione, che aspira a conquistare pezzi di territorio ed eventualmente a governare il Paese ma non ambisce ad attaccare gli Stati Uniti”. E ha fatto anche capire che sarebbe possibile un accordo col Mullah Omar, disponibile a liberarsi del centinaio di quaedisti che oggi sono in Afghanistan, memore di quanto gli costò, nel 2001, la presenza di Bin Laden. Omar non è né un terrorista, né un criminale, né un pazzo, è un uomo pragmatico che firmerebbe all'istante un accordo di questo tipo: fuori gli stranieri, in cambio solide garanzie che a nessun terrorista internazionale sia permesso di circolare liberamente in Afghanistan. Nel 2000 bloccò la coltivazione del papavero, è sicuramente in grado di cacciare a pedate quattro quaedisti strapenati.