Sulla questione delle “radici cristiane dell’Europa”, spesso sollevata dal Pontefice, bisognerebbe fare un ragionamento “sine ira et studio”. Che l’Europa abbia radici cristiane è fuor di dubbio, anche se non sono le sole, ma già questo basta a complicare il problema.
Cristiano non significa cattolico: ci sono almeno tre confessioni cristiane che divergono tra loro nel modo di considerare i rapporti tra religione e società civile. Un tema come l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche non interessa minimamente l’ortodossia, che è la confessione più diffusa in Paesi come Grecia, Serbia, Romania, Russia europea…, mentre il tema della laicità dello stato è visto in modo molto diverso in ambito protestante: tanto per dire, la Germania ha le sue origini come nazione moderna nella secolarizzazione dei beni dell’ordine dei Cavalieri Teutonici, da cui si produce la Prussia, mentre gli anglicani assegnano, almeno nominalmente, il titolo di capo della loro chiesa alla regina d’Inghilterra, con ciò affrontando in termini molto diversi il problema. Siccome le radici cristiane dell’Europa sono un argomento che riguarda la costruzione dell’Europa politica, bisognerebbe specificare che cosa implica, nel concreto, questo riferimento. In Germania, ad es., lo stato non ha alcuna difficoltà nel finanziare le famiglie perché iscrivano i ragazzi nelle scuole private, di ispirazione cattolica, o protestante, o laica, proprio perché si tratta di uno stato che riconosce ad ognuno il diritto a praticare la sua confessione religiosa, e lo garantisce non prendendo posizione a favore di questa o quella confessione.
Anche restando nel campo del cattolicesimo (che rappresenta una minoranza all’interno del cristianesimo), le interpretazioni non sono così univoche come sembra: basta mettere a confronto il pensiero di un Erasmo da Rotterdam con quello della controriforma per rendersi conto di contrasti quasi inconciliabili. Restando poi all’interno di quella parte della tradizione cattolica che meglio riflette gli orientamenti pontifici, i problemi sono tutt’altro che pochi: basti considerare che l’Europa moderna si costruisce (a torto o a ragione) contro la politica pontificia. Il rifiuto della modernità rinascimentale durante la controriforma (con la conseguente “invenzione” di un medioevo abbondantemente immaginario), l’opposizione all’illuminismo o alla rivoluzione liberale inglese, l’ostilità nei confronti dell’autonomia politica dei governi nazionali (in Italia il primo concordato risale appena al 1929), sono elementi che hanno caratterizzato la storia dei rapporti tra chiesa romana ed Europa – senza ora voler sollevare un vespaio citando la “debole” partecipazione della gerarchia ecclesiastica alla lotta contro il nazismo e l’ambigua posizione sulla shoah.
Inoltre, considerando il lungo arco dei secoli nei quali prende forma l’Europa odierna, è scortese ma doveroso notare che ci sono molte cose di cui la chiesa romana non ha mai “chiesto scusa”. Lo ha fatto per Galileo, in un’operazione di immagine, peraltro poco opportuna, visto che, a mio parere, sul piano strettamente scientifico aveva ragione Bellarmino, ma non lo ha fatto per l’inquisizione, né per la caccia alle cosiddette streghe, né per tutti gli eretici massacrati a colpi di crociata lungo i secoli che vanno dal medioevo al barocco, così come nessuno ha mai chiesto scusa per gli incredibili e stupidi massacri compiuti dai crociati in terra santa, ai danni di musulmani, ebrei e cristiani orientali. Certo, si può dire che tutto questo appartiene al passato e oggi i tempi sono diversi… ma sono diversi per merito della chiesa romana o perché tale chiesa ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco? Di fatto, fino al concilio Vaticano II la posizione della chiesa romana è di ostilità nei confronti del processo storico che ha condotto alla formazione dell’Europa odierna.
Infine, è il caso di ricordare che quelle cristiane, sia pure nel loro complesso insieme, non sono le uniche radici dell’Europa: ci sono le radici laiche, e anche quelle ebraiche e musulmane. Senza Maimonide e Averroè non avremmo Tommaso d’Aquino. Europa è anche la Spagna delle tre culture (e ricorre quest’anno il IV centenario dell’espulsione dei moriscos), la Sicilia di Federico II, la difesa dei confini orientali dell’impero austro-ungarico fatta dalle popolazioni serbe contro gli ottomani, la rivoluzione francese… Tutte queste cose possono non piacere a un onesto cattolico: ne ha tutto il diritto; ma non si può negare che tutte queste cose siano Europa e radici dell’Europa. Almeno quanto la tradizione papista.
Quando si parla di radici dell’Europa, a me piace ricordare degli aneddoti di scarsa trascendenza, ma utili a capire quanto il problema sia complesso. Si racconta che si sia molto discusso nelle stanze vaticane sull’opportunità di permettere la diffusione di una bevanda che sembrava diabolica. Il papa, incuriosito, la volle provare e, assaggiatala, fece un gesto di benedizione, dicendo: se prima era diabolica, adesso è battezzata e i cristiani la possono bere. Se si vuole, è la fondazione mitica del caffè, tanto per indicare un elemento che, come l’albero di natale, la nostra cultura ha preso da altre tradizioni. E che dire di una nota opera del Cinquecento sulla storia dei re cosiddetti cattolici, secondo cui gli ebrei puzzavano, sia perché non erano battezzati, sia perché avevano il barbaro uso di condire la fettina di carne con l’olio anziché con il lardo di maiale: agli inizi del Cinquecento, sentendo il profumo della frittura di pesce con l’olio, l’inquisizione ci avrebbe denunciati come giudaizzanti! O vogliamo parlare delle origini arabe e mediterranee della pizza co ‘a pummarola ‘n coppa?
In realtà, questo continuo intercambio non è avvenuto solo nella cultura materiale. In quella scientifica, ad es., dobbiamo moltissimo alla medicina araba ed ebraica, alla loro algebra (parola araba), alla loro chimica (alchimia è un termine arabo, come il nome di tutti gli strumenti che in questa scienza cominciano con l’articolo al-), all’ottica, e la stessa cosa si deve dire per le idee filosofiche, non soltanto nel medioevo, ma anche in epoca contemporanea: cosa sarebbe la filosofia europea odierna senza il contributo di straordinari intellettuali ebrei, da Bergson a Freud, da Levinas a Buber… E, se conoscessimo bene la teologia, dovremmo ammettere che questa felice contaminazione è avvenuta anche per le idee religiose. Le radici dell’Europa sono plurali: è difficile tenerle insieme, è difficile armonizzarle ed evitare che confliggano tra loro, ma questa difficoltà è la ricchezza dell’Europa.
Infine, vorrei notare che tutta questa enfasi sulle radici è spesso fuorviante e copre l’aspetto più importante della questione: le radici – massimo rispetto per loro – sono ciò da cui proveniamo, ma non ci tolgono la sovranità di decidere dove andremo. Una concezione della tradizione attenta solo a ciò che siamo stati è una tradizione a metà: un tradizionalismo, un’ideologia. In passato, popoli che erano pagani hanno avuto la sovranità di cambiare e diventare cattolici o ortodossi: questa sovranità è l’anima della tradizione, ciò che la rende viva, ciò che impedisce la sclerosi sociale – è la forza di inglobare il nuovo che è valido nella tradizione depurata da ciò che non è valido più. E questo è un compito che un corpo sociale non può esimersi dall’assolvere, anche se comporta ad ogni decisione la possibilità dell’errore.
Cristiano non significa cattolico: ci sono almeno tre confessioni cristiane che divergono tra loro nel modo di considerare i rapporti tra religione e società civile. Un tema come l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche non interessa minimamente l’ortodossia, che è la confessione più diffusa in Paesi come Grecia, Serbia, Romania, Russia europea…, mentre il tema della laicità dello stato è visto in modo molto diverso in ambito protestante: tanto per dire, la Germania ha le sue origini come nazione moderna nella secolarizzazione dei beni dell’ordine dei Cavalieri Teutonici, da cui si produce la Prussia, mentre gli anglicani assegnano, almeno nominalmente, il titolo di capo della loro chiesa alla regina d’Inghilterra, con ciò affrontando in termini molto diversi il problema. Siccome le radici cristiane dell’Europa sono un argomento che riguarda la costruzione dell’Europa politica, bisognerebbe specificare che cosa implica, nel concreto, questo riferimento. In Germania, ad es., lo stato non ha alcuna difficoltà nel finanziare le famiglie perché iscrivano i ragazzi nelle scuole private, di ispirazione cattolica, o protestante, o laica, proprio perché si tratta di uno stato che riconosce ad ognuno il diritto a praticare la sua confessione religiosa, e lo garantisce non prendendo posizione a favore di questa o quella confessione.
Anche restando nel campo del cattolicesimo (che rappresenta una minoranza all’interno del cristianesimo), le interpretazioni non sono così univoche come sembra: basta mettere a confronto il pensiero di un Erasmo da Rotterdam con quello della controriforma per rendersi conto di contrasti quasi inconciliabili. Restando poi all’interno di quella parte della tradizione cattolica che meglio riflette gli orientamenti pontifici, i problemi sono tutt’altro che pochi: basti considerare che l’Europa moderna si costruisce (a torto o a ragione) contro la politica pontificia. Il rifiuto della modernità rinascimentale durante la controriforma (con la conseguente “invenzione” di un medioevo abbondantemente immaginario), l’opposizione all’illuminismo o alla rivoluzione liberale inglese, l’ostilità nei confronti dell’autonomia politica dei governi nazionali (in Italia il primo concordato risale appena al 1929), sono elementi che hanno caratterizzato la storia dei rapporti tra chiesa romana ed Europa – senza ora voler sollevare un vespaio citando la “debole” partecipazione della gerarchia ecclesiastica alla lotta contro il nazismo e l’ambigua posizione sulla shoah.
Inoltre, considerando il lungo arco dei secoli nei quali prende forma l’Europa odierna, è scortese ma doveroso notare che ci sono molte cose di cui la chiesa romana non ha mai “chiesto scusa”. Lo ha fatto per Galileo, in un’operazione di immagine, peraltro poco opportuna, visto che, a mio parere, sul piano strettamente scientifico aveva ragione Bellarmino, ma non lo ha fatto per l’inquisizione, né per la caccia alle cosiddette streghe, né per tutti gli eretici massacrati a colpi di crociata lungo i secoli che vanno dal medioevo al barocco, così come nessuno ha mai chiesto scusa per gli incredibili e stupidi massacri compiuti dai crociati in terra santa, ai danni di musulmani, ebrei e cristiani orientali. Certo, si può dire che tutto questo appartiene al passato e oggi i tempi sono diversi… ma sono diversi per merito della chiesa romana o perché tale chiesa ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco? Di fatto, fino al concilio Vaticano II la posizione della chiesa romana è di ostilità nei confronti del processo storico che ha condotto alla formazione dell’Europa odierna.
Infine, è il caso di ricordare che quelle cristiane, sia pure nel loro complesso insieme, non sono le uniche radici dell’Europa: ci sono le radici laiche, e anche quelle ebraiche e musulmane. Senza Maimonide e Averroè non avremmo Tommaso d’Aquino. Europa è anche la Spagna delle tre culture (e ricorre quest’anno il IV centenario dell’espulsione dei moriscos), la Sicilia di Federico II, la difesa dei confini orientali dell’impero austro-ungarico fatta dalle popolazioni serbe contro gli ottomani, la rivoluzione francese… Tutte queste cose possono non piacere a un onesto cattolico: ne ha tutto il diritto; ma non si può negare che tutte queste cose siano Europa e radici dell’Europa. Almeno quanto la tradizione papista.
Quando si parla di radici dell’Europa, a me piace ricordare degli aneddoti di scarsa trascendenza, ma utili a capire quanto il problema sia complesso. Si racconta che si sia molto discusso nelle stanze vaticane sull’opportunità di permettere la diffusione di una bevanda che sembrava diabolica. Il papa, incuriosito, la volle provare e, assaggiatala, fece un gesto di benedizione, dicendo: se prima era diabolica, adesso è battezzata e i cristiani la possono bere. Se si vuole, è la fondazione mitica del caffè, tanto per indicare un elemento che, come l’albero di natale, la nostra cultura ha preso da altre tradizioni. E che dire di una nota opera del Cinquecento sulla storia dei re cosiddetti cattolici, secondo cui gli ebrei puzzavano, sia perché non erano battezzati, sia perché avevano il barbaro uso di condire la fettina di carne con l’olio anziché con il lardo di maiale: agli inizi del Cinquecento, sentendo il profumo della frittura di pesce con l’olio, l’inquisizione ci avrebbe denunciati come giudaizzanti! O vogliamo parlare delle origini arabe e mediterranee della pizza co ‘a pummarola ‘n coppa?
In realtà, questo continuo intercambio non è avvenuto solo nella cultura materiale. In quella scientifica, ad es., dobbiamo moltissimo alla medicina araba ed ebraica, alla loro algebra (parola araba), alla loro chimica (alchimia è un termine arabo, come il nome di tutti gli strumenti che in questa scienza cominciano con l’articolo al-), all’ottica, e la stessa cosa si deve dire per le idee filosofiche, non soltanto nel medioevo, ma anche in epoca contemporanea: cosa sarebbe la filosofia europea odierna senza il contributo di straordinari intellettuali ebrei, da Bergson a Freud, da Levinas a Buber… E, se conoscessimo bene la teologia, dovremmo ammettere che questa felice contaminazione è avvenuta anche per le idee religiose. Le radici dell’Europa sono plurali: è difficile tenerle insieme, è difficile armonizzarle ed evitare che confliggano tra loro, ma questa difficoltà è la ricchezza dell’Europa.
Infine, vorrei notare che tutta questa enfasi sulle radici è spesso fuorviante e copre l’aspetto più importante della questione: le radici – massimo rispetto per loro – sono ciò da cui proveniamo, ma non ci tolgono la sovranità di decidere dove andremo. Una concezione della tradizione attenta solo a ciò che siamo stati è una tradizione a metà: un tradizionalismo, un’ideologia. In passato, popoli che erano pagani hanno avuto la sovranità di cambiare e diventare cattolici o ortodossi: questa sovranità è l’anima della tradizione, ciò che la rende viva, ciò che impedisce la sclerosi sociale – è la forza di inglobare il nuovo che è valido nella tradizione depurata da ciò che non è valido più. E questo è un compito che un corpo sociale non può esimersi dall’assolvere, anche se comporta ad ogni decisione la possibilità dell’errore.